BOM DIA
A DANZA DA ARANHA
A DANZA DA ARANHA
Note di regia
“Bom Dia” è un lungometraggio a cavallo tra finzione e documentario. Esplora le terre di confine sia geografiche che emotive dei suoi protagonisti, insieme ai confini possibili dei diversi linguaggi cinematografici. Si passa da un Portogallo evocato, visto e immaginato, a una visione onirica del viaggio stesso, inteso come esplorazione di mondi sentimentali sconosciuti e di rapporti umani basati sulla condivisione di un progetto, un’idea: in questo caso, il film medesimo, una “cronistoria di un viaggio mai nato”.
La prima parte del film è stata girata nel 1994, prevalentemente in video (magnetico e digitale). A questo materiale filmico sono associate scene di raccordo riprese in pellicola (super 8, anch’esse girate negli anni ‘90). A conclusione del girato, le scene digitali in fullHD (alcune riprese sono state fatte nel 2013, altre nel 2014, vale a dire 10 anni dopo).
I protagonisti, attori loro malgrado di questo “sogno” narrativo che documenta l’Italia e il Portogallo degli anni ’90 del secolo scorso, si sono fisicamente “passati di mano” la macchina da presa e la telecamera, girando le immagini in prima persona, a volte sotto forma di reportage, altre volte come docu-fiction. Questa dinamica tecnica tesse la trama di un percorso narrativo scritto in tempo reale e poi rivisitato a posteriori, a cavallo tra finzione e documentario.
Il racconto trova la sua conclusione vent’anni dopo, nel 2014, con il termine delle riprese e del montaggio.
Il film testimonia i cambiamenti tecnici, linguistici e narrativi di questo lungo periodo, durato in totale circa vent’anni.
Da questa porzione di racconto, inquadrata come fosse un sogno, una sorta di viaggio nella memoria, si passa al racconto di quegli stessi luoghi e personaggi vent’anni dopo, per la conclusione del film.
Federico Caramadre
Nel 1994, insieme agli altri autori/attori di questo lavoro, immaginammo la velocità e la dinamicità del linguaggio video in prestito al cinema. Uno degli aspetti più evidenti, per noi artisti esploratori di nuovi linguaggi narrativi, era il desiderio di immediatezza di gestione dei mezzi tecnici e della ripresa, oltre alla possibilità di lavorare a costi notevolmente inferiori di quelli abituali per l’epoca.
Da un lato, lo sviluppo della tecnologia analogica iniziava a permettere una facilità che la pellicola non consentiva ancora, a discapito però della qualità della ripresa fotografica, ancora ben salda e meglio centrata nel mondo della celluloide.
Purtroppo, questa decisa dichiarazione di poetica estetica a servizio di una nuova narrativa, originale e godibile, era troppo all’avanguardia per quei tempi.
Non esisteva ancora il web, né le tecnologie come le conosciamo oggi, innovazioni che hanno reso possibile realizzare e diffondere progetti a costi sostenibili, così come il pubblico non era ancora pronto o abituato a riprese in movimento, volutamente
“sporche”, come si dice in gergo, sia nei movimenti di macchina che nel montaggio. Riprese tipiche del
reportage, che oggi rappresentano invece la norma, e che caratterizzano molte sequenze del film, girate in tempo reale sia in Italia che in Portogallo.
Liberamente tratto da “Cronistoria di un viaggio mai nato” di Federico Caramadre
Con gli artisti Antonio Redondo e Davide Dormino
Sceneggiatura di Marco Mataloni e Federico Caramadre
Scenografie “Casa di Latta” per Studi d’Arte Associati Gruppo Hermes
Voce off Roberto Pedicini
Registrazioni Mediavox & Sound
Preparazione materiali tecnici Stefano Fazi
Da un’idea di Federico Caramadre Ronconi
Scena del film in pellicola super 8
© Hermes Studi d’Arte Associati 1994-2014
Premontato video
I materiali video del 1994 sono costituiti di circa 20 ore di girato, oltre quelli del 2013-2014, la cui fase di ripresa è in corso d’opera.
Lo sforzo produttivo messo in cantiere, oltre ai diversi viaggi compiuti, è rappresentato sia dalle fasi di ripresa che, in particolar modo, dalla post-produzione.
La produzione del film, in avanzato stato di lavorazione, è stata distinta in più fasi: le riprese sono state realizzate su più set, distinti per tempo e luogo. Tre set hanno avuto luogo in Italia, uno a Roma, in forma documentaristica, un secondo “on the road”, sotto forma di reportage, un terzo e un quarto in provincia di Viterbo, con dei set veri e propri, dove alcune riprese sono state fatte anche in pellicola super8. In Portogallo sono stati fatti in tutto quattro viaggi. Durante questi soggiorni di ripresa sono stati realizzati materiali video sia sotto forma documentaristica che di reportage, sempre a servizio del racconto.
Tutto il materiale descritto è stato girato tra il 1994 e il 1995, con un vero e proprio passaggio di mano delle telecamere tra autori, personaggi-attori e tecnici.
Scarica l'immagine del quartiere AlfamaNel 2013 un nuovo viaggio a Lisbona ha consentito di avviare l’ultima fase delle riprese, circa vent’anni dopo, che si prevede di concludere nel 2014. In particolare, in questa occasione è stato possibile girare delle riprese da un punto di vista esclusivo sul grande fiume Tejo, che hanno reso possibile una vista del grande ponte e della città direttamente dall’acqua, a circa venti metri d’altezza.
“INT. Casa Hermes.
Davide sul divano (“Indossare un vizio” – musica in sottofondo Paolo Conte)”.
“La scena finisce con PP di Davide rallentato in b/n – rallentato anche il sonoro (la sequenza è quella quando guarda la cassetta della sua performance e canta “She loves, she loves”, muovendo le spalle e passando da un’espressione minacciosa ad un sorriso”.
Quanto alla post-produzione, in un primo momento tutto il girato (del 1994) è stato riversato in beta digitale, acquisito in studio di montaggio in bassa risoluzione e sottoposto a più sessioni di scrematura, catalogazione, edizione e premontaggio.
La seconda fase, da istruire, prevede una nuova acquisizione in fullHD con rapporto 1:1 del girato originale selezionato, procedimento in cui saranno risolti i problemi di allineamento dei campi video dell’acquisizione precedente a bassa risoluzione. Questo materiale, editato e accorpato con il nuovo girato (2013-2014), passerà in studio per il montaggio definitivo, alla successiva color correction e ad un lavoro di post-produzione audio, con rifacimenti di dialoghi e inserimento di voce narrante, musiche e ambienti, per il mix finale della colonna sonora.
studente a Roma (Mané) chiede ad un suo amico italiano (Fred) di portare la sua vecchia auto a Lisbona per la revisione obbligatoria che la vettura deve affrontare per non essere demolita.
Il viaggio, parallelo ad una serie di coincidenze (l’uscita sugli schermi di Lisbon Story di Wim Wenders, la crescente nuova attenzione generale per il Portogallo, l’invasione discografica del mercato dei suoni rivisitati di quella terra e, non ultima, una parallela ricerca di referenti nel mondo dei sentimenti), sarà per Fred il pretesto di una nuova conoscenza femminile con la quale dividere quello che diverrà un gioco, e l’occasione di realizzare una serie di riprese per farne una videotestimonianza di altri luoghi e culture.
descrittiva, si prepara il viaggio: l’auto, la spesa, i bagagli, gli incontri, le “raccomandazioni”, le feste d’addio. A legare il tutto dal punto di vista narrativo: 1) il racconto di Manè che illustra itinerari, luoghi e situazioni; 2) le immagini del viaggio – che ancora deve avvenire.
è più “meditativa”, meno dinamica, una sorta di dilatazione all’infinito di quella “terra di nessuno” che è l’attesa che separa il progetto dall’azione. Un giardino inselvatichito in riva al mare, pensieri fuori campo, brandelli della “Lentezza” di Kundera…
che dovrebbe “sciogliere” la trama, portarla a compimento e mostrarci Fred partire per il Portogallo, vede invece l’irruzione in primo piano di Davide, una sorta di Coro tragicomico, di Grillo Parlante spudorato e sbruffone, che svela attraverso una serie di monologhi, che il viaggio non s’è potuto compiere – non tanto per disguidi tecnici quanto per l’incapacità dei protagonisti di abbandonare una condizione di stallo che ha finito per sedurli.
la storia resta in qualche modo “aperta”: anche se Davide comunica che il viaggio non c’è stato, nel corso del film sono passate intere sequenze estremamente reali e concrete del viaggio in Portogallo, brandelli di cronaca quotidiana troppo precisa e puntuale per essere davvero la proiezione onirica di cui Davide giura di essere stato “vittima” nei giorni in cui fervevano i preparativi.
(un viaggio romantico in cui vivere una storia d’amore) continua nei loro sogni dando la netta impressione che al contrario tutta la vicenda stessa non potrebbe essere altro che un sogno “vissuto” da Fred, alla continua ricerca di un qualcosa di cui poco si afferra ma che riguarda sicuramente i sentimenti, e in qualche modo da lui proiettato sul coro tragico dei suoi amici, attori quasi per gioco di una vicenda tutta ideale.
Sono passati vent’anni.
Ritroviamo i nostri protagonisti in un bar, in riva al fiume Tejo.
Cosa è successo in tutto questo tempo?
Nel 1994, l’anno di questa storia, ero molto giovane.
Era un tempo in cui non esistevano ancora i telefonini, il 1994, era quel tempo lì, o meglio, forse erano davvero in pochi ad averne visto uno, che più che a un telefono si potrebbe dire somigliasse a una piccola valigia ventiquattrore, o giù di lì…
Era ancora il tempo della pellicola e delle macchine da scrivere, che lasciavano il passo ai primi computer.
Noi, comunque, eravamo più interessati a macchine fotografiche, obiettivi e telecamere.
Era il tempo dell’analogico, delle videocassete, dei rullini in pellicola e delle penne stilografiche, delle cartine stradali e dei nastri musicali, e dei sogni da ragazzi.
Io sarei dovuto partire per un lungo viaggio. Dovevo riportare la renault quattro (R4) di un amico, un ragazzo portoghese studente a Roma, Mané, a Lisbona. Precisamente a Setùbal, una località poco distante dalla capitale.
E allora ecco la preparazione del viaggio, nuove conoscenze con cui dividere quello che sarebbe divenuto presto un gioco, e l’occasione di realizzare una serie di riprese per farne una videotestimonianza di luoghi lontani, di altre culture.
Poi le “raccomandazioni”, lo studio del percorso, le feste d’addio, il racconto di Manè che mi illustra itinerari, luoghi e situazioni, la preparazione della macchina e la ricerca di risposte giuste a domande che probabilmente era inutile porsi.
Eravamo ragazzi, e le immagini del viaggio – che forse non c’è mai stato – giravano nella mia testa e si fissavano nell’occhio della telecamera, per raccontare i tempi di una preparazione da cui eravamo sedotti, quella “terra di nessuno” che è anche il tempo che ci è dato vivere: l’attesa che separa il progetto dall’azione.
Sì, il viaggio non s’è potuto fare – non tanto per disguidi tecnici quanto per la nostra incapacità di abbandonare una condizione di stallo che finì per affascinarci.
Eppure quelle immagini erano reali: brandelli di cronaca quotidiana troppo precisa e puntuale per essere davvero la proiezione onirica di cui potevamo essere “vittime” nei giorni in cui fervevano i preparativi.
Così, io e gli amici di questa storia, girammo le sequenze di un tempo lontano, raccontando i sentimenti da cui eravamo animati, che cercavamo di comprendere, spostandoci idealmente tra Italia, (Francia e, ovviamente), e Portogallo. O forse, si è trattato davvero di un sogno. Una fascinazione fatale per un lungo sogno da cui risvegliarsi, prima o poi, proprio a Lisbona.
…Un risveglio avvenuto vent’anni dopo.
Sì, sono trascorsi vent’anni, o giù di lì.
Che cosa siamo, davanti al tempo che scorre? Forse un alito di brezza marina, niente di più.
Uh, per dirla con un film: che cosa hai fatto in tutto questo tempo?
Sono andato al letto presto.