Chiarisco subito il perché di questo titolo: a vedere la statua, l’idea corre imediatamente al Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, 1753.

Al centro della navata della Cappella Sansevero, è una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, in cui il messaggio stilistico è nel velo: le pieghe incidono una sofferenza profonda, rendendo ancor più nude ed esposte le povere membra. In quel caso, un’immagine sacra era rappresentata nella sua fragilità. Il velo che copre il Cristo, stoffa che per sua natura dovrebbe “coprire”, è bagnato. Questa circostanza, ovvero l’acqua, la temperatura afosa del sudario che bagnando il velo fa sì che il tessuto divenga aderente al corpo, dà l’idea delle forme che invece dovrebbe nascondere: il corpo di Cristo.
Bisogna essere tecnicamente bravi, per plasmare la pietra come fosse acqua e renderla trasparente.

Per analogia e contrasto, il bronzo della spigolatrice odierna racconta di un corpo fiero, quasi in vedetta. Come fosse quello di una combattente distratta da qualcosa, lo sguardo girato all’orizzonte, attratto da un suono, un rumore, un richiamo. Un corpo scarmigliato dal vento, che qui fa le veci dell’acqua, e che fa aderire talmente le vesti al corpo da raccontarne le forme in modo sfrontato, come la natura sa essere. Un vento deciso e improvviso, rafficato al punto da essere plausibile in un campo aperto. Nulla a che vedere con la “pudicizia” da cui prende il nome una statua di Antonio Corradini, artista che avrebbe dovuto scolpire il Cristo di cui sopra, se non fosse morto prima, cedendo il posto a Sanmartino.

Ecco allora la ratio dell’opera moderna: mostra a un tempo la bravura tecnica dell’autore e ci racconta contemporaneamente la fierezza di un nudo disvelato, al femminile. Nudo involontario che sarebbe possibile solo se la donna ritratta fosse in mezzo ai campi, sotto il sole o la pioggia, scolpita da quel simbolico vento inatteso.
Si potrebbe eccepire che quel nudo non rappresenti la bellezza delle spigolatrici ottocentesche. In effetti è così. Basti pensare al celebre quadro di Millet, del 1857. Donne curve sui campi a raccogliere grano. Si sa, il gusto del tempo imponeva altri cliché, l’amore visivo per donne più in carne, quale segno di buona salute, raffigurate spesso durante un lavoro, una qualche mansione cui erano occupate.
La citazione, dunque, se citazione vi può essere, è richiamare esempi analoghi della storia dell’arte aderendo però ai parametri attuali.

E qui si apre un altro capitolo stilistico: quello del nudo.
Il nudo al femminile nell’arte è raccontato da sempre, da quando l’arte ha diritto di cittadinanza. Spesso in modo sintetico, stilizzato, altre volte in maniera ridondante, altre in modo del tutto sfrontato, come nel caso del famoso dipinto “l’origine del mondo” di Courbet, conservato in mostra presso il Musée d’Orsay di Parigi. Opera che ha fatto tanto discutere il suo tempo e che ha visto la censura del regime nazista, assurgendo agli “altari” degli elenchi dei quadri proibiti del Terzo Reich.
Del resto non è un segreto che lo stesso Caravaggio usasse persone umili, scovate tra il popolino, in contrasto con gli usi del suo tempo, come modelli per raffigurare santi e divinità. Cosa dire allora dello scalpore che provocò la consegna del dipinto raffigurante una madonna, di spalle, in preghiera sotto il calvario, con in primo piano i piedi sporchi, scovata verosimilmente come modello tra la povera gente?! Per l’epoca una cosa inaccettabile.

Niente di nuovo: l’arte sa essere provocazione.
Nel bronzo attuale c’è il richiamo, la citazione colta e nient’affatto nuova degli artisti del passato, quelli che in modo diretto o provocatorio cambiavano i paradigmi e si cimentavano contro gli usi e le censure del loro tempo.

Solo per citare alcuni esempi, a partire dalla Venere di Willendorf, la Cleopatra suicida di Artemisia Gentileschi, nuda (tra due uomini), la Venere Capitolina, la Paolina Borghese di Canova, la Schiava Greca di Hiram Power, la Sabina del Giambologna della Loggia dei Lanzi, la Dafne di Bernini, la Libertà che guida il popolo di  Delacroix e via così, all’infinito, sono opere della storia che inneggiano alla bellezza del racconto del corpo, terra di ispirazione per artisti e poeti di tutti i tempi.
Non solo al femminile, tutt’altro. Si pensi ai nudi rinascimentali, a loro volta ispirati dalla cultura classica.

La spigolatrice di Sapri è, prima di tutto, una ballata risorgimentale popolaresca di Luigi Mercantini. Al pari delle spigolatrici, che raccattavano nei campi quel poco di grano rimasto a terra dopo la mietitura, oggi abbiamo ancora difficoltà a comprendere l’arte, quale essa sia, dovendo tuttora far pace, sul piano storico, con il nostro Risorgimento e spigolando un poco, qua e là.

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