Tratto da “La voce dell’ulivo”; 2001
Recital teatrale; Roma; 2002

Era un ottimo bicchiere di vino.
Dicono fosse un ottimo bicchiere di vino.

Con il dito medio scostò l’elastico degli slip. Quel segno se ne stava lì, acquattato, chiotto, rubicondo e perlaceo. Versò il vino sopra, lasciandolo cadere goccia su goccia. E fu rivolo, fu pioggia, fu cascata, fu rosso su rosso, ferita su ferita, e fu macchia. Le mutandine bianche assorbirono un po’ di liquido e si fecero gradatamente rosa.

Ines ne fu sorpresa, era forse la prima volta che vedeva la sua biancheria intima macchiarsi di rosso a causa di un agente esterno che non fosse il suo sangue. Il taglio dell’appendicite era più lucido che mai. Lei continuò a fissarlo come se stesse guardando la recita di un’amica. Lo conosceva. In qualche strano modo erano in intimità, ma non la sentiva come una parte del suo corpo. Tutto sommato si trattava solo di un segno, che si era fermato lì, che prima non c’era e che non le aveva causato neppure troppo dolore. Eppure non lo sentiva come una cosa sua.

Questa distanza da se stessa la sorprese, ma dopotutto, spesso aveva fatto l’amore con uomini di cui non le importasse nulla, o poco più, e allora, non era forse la stessa cosa? Non si trattava comunque di un’invasione cui fare da spettatrice?

James strinse la maniglia spingendo verso il basso, mentre faceva leva con l’altra mano verso l’alto, arrestando la porta con punta e tacco del piede. Era una vecchia porta, pesante, col chiavistello fuori asse, e solo il movimento sincrono di queste tre operazioni gli consentiva di entrare in casa. All’inizio era stato difficile, certo, roba per cui spazientirsi e, di fatto, spesso s’era spazientito. Ma oramai ci aveva fatto l’abitudine: quello era un gesto talmente consueto e automatico che se solo si fosse fermato per un istante a pensare alle dinamiche intrinseche e alla meccanica di quei movimenti, difficilmente avrebbe compreso per quale motivo quella porta comunque si sarebbe aperta.

Si salutarono, lui si avvicinò baciandola distrattamente sulla guancia. Lei si scostò dalla poltrona facilitandogli distrattamente il compito.

Versarono del vino e alzando i bicchieri si incontrarono per caso con gli occhi negli occhi. Allora fu brindisi obbligato. E costringersi a guardarsi facilitò la comprensione di una volontà comune, tesa a rinnovare in una gestualità reiterata il loro amore. Si spogliarono, e fecero l’amore come d’abitudine, guardandosi ancora con sorpresa, come da spettatori di un ruolo in cui scoprire con stupore di essere i protagonisti. E fu bellissimo.

 

© Federico Caramadre 2001 – © Hermes – Studi d’Arte Associati 2001 – Tutti i diritti riservati – “La voce dell’ulivo” S.I.A.E. 2002

 

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